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| Nicolas Poussin, Il Regno di Flora, 1631, olio su tela, Dresda, Staatliche Kunstsammlungen. |
Il dipinto di Nicolas Poussin (1594-1665) è ambientato in un giardino dove sono presenti nove figure mitologiche. Intorno al personaggio centrale, Flora che danza circondata da putti spargendo una pioggia di fiori sul suo reame, compaiono eroi e semidei greci che alla loro morte sono stati trasformati in fiori: il tema è dunque quello delle metamorfosi. Al centro Eco, la fanciulla che regge il vaso, la ninfa innamorata di Narciso, ma respinta dal ragazzo; ella si strugge talmente per il suo amore non corrisposto, che di lei rimane solo la voce. Di fronte a lei si specchia Narciso, innamoratosi della propria immagine riflessa e morto consumandosi d’amore, e accanto a lui compaiono i fiori che portano il suo nome. Sulla sinistra Aiace si uccide gettandosi sulla propria spada per non aver ottenuto le armi di Achille; secondo la leggenda dal suo sangue nascerà il giacinto (ma Poussin realizza un garofano bianco). La fanciulla che volge lo sguardo al cielo in direzione del carro di Apollo che attraversa lo zodiaco è Clizia, la gelosa amante del dio Sole, che si trasforma in girasole per seguirlo sempre, e i fiori sono infatti raffigurati in un vaso alle sue spalle. Sulla sinistra, il ragazzo con la lancia accompagnato dai suoi cani è Adone: ferito a morte da un cinghiale, dal suo sangue nascerà l’anemone. Accanto a lui è raffigurato Giacinto, fanciullo amato da Apollo che lo uccide involontariamente in una gara di lancio del disco e il dio, disperato, trasforma il sangue che sgorga dalla ferita nel fiore che porta il suo nome, e che il ragazzo tiene nelle mani. Croco e Smilace, in seguito al loro amore infelice, saranno trasformati rispettivamente in salapariglia (Smilax aspera) e zafferano. Un antico bassorilievo e un’erma sono collocati all'estrema sinistra di fronte a una piccola cascata, mentre nel primo piano sono raffigurati una cornucopia striata ricolma di fiori (che colpisce per la sua sembianza da corno) e un putto che annusa delle violette blu.
I documenti attestano che il dipinto fu eseguito nel 1631, a Roma, per Fabrizio Valguarnera, che lo pagò cento scudi. Valguarnera, “nobile” palermitano, era in realtà un avventuriero che a Roma cercava di cambiare in quadri (oltre al Regno di Flora anche la Peste di Azoth, sempre opera di Poussin, e dipinti di Valentin, Sacchi e Lanfranco) alcuni diamanti provenienti da furti spagnoli: utilizzava cioè beni rubati per acquistare opere d’arte. Dopo aver comprato la Peste, Valguarnera commissionò a Poussin la Flora, la cui idea iniziale gli era stata mostrata in un disegno che il pittore aveva già preparato per una sorta di album con le opere da realizzare. Si trattava di un comportamento consolidato: un cliente acquistava dapprima un dipinto già disponibile per poi commissionarne successivamente un altro. Quando, però, furono scoperti i suoi traffici, il Valguarnera venne imprigionato, processato e condannato durante l’estate del 1631.
Il 28 luglio 1631, quando fu chiamato a testimoniare nel processo di don Fabrizio Valguarnera, Nicolas Poussin parlò di un “giardino di Fiori” che egli aveva recentemente dipinto per l’imputato siciliano. “Il quadro grande della Primavera l’ho compro in Roma da Monsù Posi pittore…” è registrato nell’inventario di Valguarnera, e Bellori, nella sua Vita di Poussin, menziona un dipinto che rappresenta “in un giardino, Narciso, Clitia, Aiace, Adone, Giacinto, e Flora che sparge fiori, danzando con gli Amori”. Dopo decenni di controversie è ormai certo che la tela conservata a Dresda chiamata Il regno di Flora sia il dipinto ordinato dal Valguarnera alla fine del 1630 e completato da Poussin nell'aprile 1631, il quadro appunto descritto da Bellori. Nonostante siano state stabilite la data e il committente del dipinto di Dresda, non risultavano molto chiare le sue fonti testuali. A dispetto dell’esistenza di diversi paralleli letterari intrigantemente vicini alla concezione iconografica di Poussin, la fonte specifica verso cui si è rivolto l’artista era rimasta vaga.
L’opinione prevalente era che il Regno di Flora derivasse principalmente dagli scritti di Ovidio, poiché le figure principali del dipinto di Poussin sono sparse attraverso il quindicesimo libro delle Metamorfosi, mentre altri studiosi si orientarono invece verso i Fasti.
Un’altra ipotesi per le fonti letterarie di Poussin basava il quadro sul poema epico L’Adone, del poeta napoletano Giambattista Marino (1569-1625), nello specifico sul sesto canto della stanza 132; a riguardo vi compaiono Narciso, Aiace, Croco e Clizia, ma dettagli riscontrabili nel dipinto di Dresda non compaiono in questo passaggio. Come intuì, una terza fonte intimamente legata sia all’Adone sia ai Fasti fu la reale ispirazione di Poussin.
È un fatto assodato che Poussin conosceva bene Marino. Durante la sua giovinezza a Parigi egli fu assistito dal poeta italiano e in accordo con Bellori e Passeri realizzò dei disegni per L’Adone e apparentemente per una progettata Metamorfosi. Poussin si rivolse agli scritti di Ovidio attraverso la guida di Marino, la cui poesia, dalle prime composizioni a Napoli fino agli ultimi lavori, è permeata dalla mitologia classica. Dai suoi studi su Ovidio – le Metamorfosi, i Fasti, e gli Amori – estrasse un ricco repertorio di riferimenti floreali che riempiono molti suoi libri. Il suo primo volume, Le Rime, fu pubblicato nel 1602, e tra queste è presente La Rosa, la reale fonte del Regno di Flora di Poussin.
La Rosa è una canzone di ventisei stanze in forma di dialogo imbevute degli echi floreali ovidiani, basati sul fecundus hortus. Dalla descrizione dell’ambientazione di un giardino e nominando una schiera di fiori, gli intelorlocutori Mopso e Thirsi forniscono le personae e i dettagli che spiegano in maniera soddisfacente il dipinto Dresda. Tre stanze successive contengono i passaggi più importanti.
Dirò d’Aiace tinto
Di vivace vermiglio?
Del Ligustro, ò del Giglio?
Dirò d’Adon dipinto?
Del fregiato Giacinto?
O di Clitia, a cui piace
Volgersi sempre inver l’eterna face?
Del lieto fiordaliso?
O dell’innamorata
Mammoletta odorata,
D’Amor pallida il viso?
O dirò di Narcisso,
Che da quell’acque, ond’hebbe
La morte già, trasse la vita, e crebbe?
Canta Thirsi di quella,
Ch’è più cara a gli amanti:
Canta gli honori, e i vanti
Dela Rosa novella,
Che baldanzosa, e bella,
Sorge dal’humil’herba
Tra la plebe de’ fior donna superba.
Mopso poi indica a Thirsi di elogiare chi
Con ridenti foglie
Di questa herbosa chiostra
Il puro verde inostra
“Leggiadro Adone” viene nominato nel verso successivo e “Croco” compare quasi alla fine del poema.
Tutte le figure che circondano Flora nel quadro di Dresda si ritrovano nella canzone di Marino del 1602. Aiace e Clizia, benchè assenti nei Fasti ovidiani, sono inclusi ne La Rosa, e la rappresentazione di Poussin segue direttamente questo testo. Clizia è ritratta come colei a cui “piace volgersi sempre inver l’eterna face” (Bellori infatti la descrive “rivolta la faccia verso il Sole amato”). Ed Aiace cade sulla sua spada nel dipinto per diventare “tinto di vivace vermiglio”.
Altri paralleli significativi sono evidenti. L’ambientazione del Regno di Flora è un’ “herbosa chiostra”, dove petali luminosi, “ridenti foglie”, sono sparsi dalla figura principale. Ella sorge sopra la “plebe de’ fior” e successivamente è descritta da Marino “già d’or s’incorona”. Giacinto è “fregiato”, abbellito, con il fiore viola dal suo nome, e nel cielo c’è “l’eterna face” che Clizia segue sempre.
Altri due motivi furono presi da La Rosa e l’interpretazione di Poussin fu così letterale che non sono ammissibili questioni riguardo la sua fonte d’ispirazione. Per prima cosa, c’è un putto nel primo piano a destra, la cui presenza è spiegata da tre righe:
O’ del innamorata
Mammoletta odorata
D’Amor pallida il viso?
La parola mammoletta significa violetta ma anche bambino piccolo. Apparentemente consapevole di questo doppio significato Poussin li ha rappresentati entrambi, mostrando il termine odorata presente nel poema con il bambino che annusa il fiore profumato e per completare il suo riferimento a La Rosa, il putto ha abbandonato la faretra e le frecce, che lo identificano come Amore.
Il secondo motivo dipendente da un verso di Marino è la cornucopia colma di fiori che abbiamo già notato per il suo aspetto realistico. La Rosa comincia con queste righe:
Hor, che d’Europa il Toro
Per far la terra adorna,
Si scote dale corna
Di fior vago thesoro,
E’n su le terga d’oro
Con temperata luce
(Ricco di più bel furto) il Sol n’adduce.
È primavera, ci dice il poeta, il tempo del Toro nello zodiaco, quando dal corno dell’animale la terra riceve questo ricco tesoro di fiori. Lo zodiaco nel dipinto di Poussin aggiunge un significato addizionale nel momento in cui lo mettiamo in relazione con questo verso d’apertura, in particolare quando notiamo che i raggi del sole cadono direttamente sul segno del Toro. Ma di uguale importanza è la cornucopia, poiché come La Rosa comincia con il corno pieno di fiori del Toro, così il Regno di Flora si apre con l’abbondanza di un corno fiorito.
Con il riconoscimento della sua fonte letteraria, il Regno di Flora può ora essere letto con maggiore chiarezza. È stato osservato che l’inclusione di Aiace e di Giacinto in un giardino di fiori fosse contraddittoria, poiché Aiace e Giacinto, secondo Ovidio, furono trasformati nello stesso fiore, il giacinto appunto. Nelle Metamorfosi, Aiace diventa “un fiore porpora spuntato dal sangue di Giacinto”, ed è poi raccontato che “verrà il tempo in cui un eroe più valoroso [Aiace] sarà legato a questo fiore [il giacinto]”. Anche Poussin doveva conoscere questi due passaggi, poiché ha scelto di attribuire ad Aiace il garofano bianco per evitare una ripetizione. Perché allora, viene da chiedersi, ha incluso questo personaggio? La risposta, naturalmente, è che Marino considerava le metamorfosi in fiori di Aiace e Giacinto separate e distinte, come testimoniano La Rosa e L’Adone. Lo stesso errore iconografico si rintraccia anche nel testo dell’epoca Il fior della Margherita di Fontanella, scritto sotto la diretta influenza di Marino. L’inclusione d Aiace e Giacinto che opera Poussin rivela ancora di più la sua fedeltà alla fonte letteraria, sebbene a spese della tradizione classica ovidiana.
L’identificazione de La Rosa come fonte del dipinto di Dresda necessita, tuttavia, un breve riesame del titolo tradizionale di quest’ultimo. Il poema di Marino è dedicato alla rosa ed è lei che “sorge dal’humil’herba tra la plebe de’ fior”. La figura centrale di Poussin è quindi la Rosa? Il titolo Il Regno di Flora è incongruente con la fonte letteraria? Lo studio degli indizi indica che fu ritenuta appropriata una figura generica contemporaneamente adatta sia al poema di Marino e sia alla commissione di Valguarnera.
L’accuratezza botanica di Poussin nel dipinto è piuttosto ineguale. È evidente che, mentre i fiori delle figure principali sono facilmente identificabili, quelli nella cornucopia, nel pergolato, nei capelli e nelle mani di Flora sono sorprendentemente inesatti. Se la verosimiglianza di Poussin è adeguata quando sono richiesti fiori specifici, l’ambiguità presente negli altri casi suggerisce una scelta intenzionale, dunque un’identificazione di Flora come la Rosa è dubbiosa, per i suoi fiori generici. Tuttavia, questi petali bianchi e dorati sono “ridenti foglie”, e lei è incoronata d’oro. Allora chi raffigura?
Vari elementi suggeriscono un’associazione della figura di Poussin con Venere. Di primaria importanza è la sua relazione con un’altra opera del pittore francese, il Trionfo di Flora del Louvre, dove compaiono sia Venere che Flora. Ricerche sui disegni preparatori, conservati a Windsor, del dipinto di Dresda rivelano che la dea è basata proprio sulla figura di Venere del Louvre e non su Flora, e la sua posizione (fa leggermente un passo avanti sollevando il vestito, mostrando la gamba e la spalla) è una semplice inversione della figura del Louvre. I putti presenti nel disegno che si raggruppano al suo fianco sono anch'essi derivati dal Trionfo, un dipinto anteriore al Regno di circa due anni. La dipendenza di Poussin dalla sua precedente concezione di Venere quando Flora era a portata di mano nello stesso dipinto, induce ad associare la figura femminile alla dea dell’amore.
Non solo formalmente, tuttavia, è suggerita Venere. Sebbene La Rosa sia dedicato alla rosa, la divinità più strettamente legata a questo fiore è proprio Venere, che ha dato alla rosa il suo colore. (Marino include questo avvenimento nel suo poema e compare anche in uno dei disegni di Poussin conservati a Windsor). I putti che danzano con la dea nel quadro di Dresda sono anche appropriati compagni di Venere (e potrebbero inoltre simboleggiare le quattro stagioni) e l’erma e la cascata compaiono in altri disegni di Venere realizzati da Poussin.
In finale, c’è la prova del catalogo manoscritto di disegni in cui il Regno di Flora è descritto lungamente. Nonostante l’autore, probabilmente Giovanni Battista Marinella, dipenda da Bellori per quasi tutte le sue identificazioni, egli aggiunge un elemento interessante che non ritroviamo nelle Vite: “piange la Dea d’Amatunta è accompagnata dalli amori dolcemente lò guarda…” L’autore si riferisce alla figura principale e la identifica come la dea di Amathuntis, la città di Cipro sacra a Venere.
Deve essere stata l’identificazione di Bellori di “Flora…danzando con gli Amori” che ha provocato l’accettazione del titolo Regno di Flora. La prima e più affidabile testimonianza, tuttavia, è quella del pittore e del committente, i quali nominano il dipinto come “un giardino di Fiori” e “Primavera”. Se non siamo in grado di suggerire un titolo più appropriato dell’opera, ciò che possiamo stabilire è che Poussin cominciò il Regno di Flora basandosi sulle Rime di Marino del 1602.
C’è un’ultima prova che corrobora l’identificazione de La Rosa come fonte di Poussin e che inoltre suggerisce il motivo per cui egli scelse di onorare questo volume di versi. Attraverso la lenta disamina dello sviluppo dell’arte di Poussin, un fattore resta costante: le affinità stilistiche esistenti tra il dipinto di Dresda e il Parnaso del Prado. Ciò che è importante per le nostre finalità, comunque, non è solo la data, che dovrebbe essere circa il 1631, ma la sua iconografia. In riferimento a uno studio del dipinto di Erwin Panofsky, egli sostiene che il vero eroe del Parnaso è il Cavaliere Giovambattista Marino. Panofsky suggerisce che Poussin potrebbe essere stato desideroso di onorare il defunto poeta, e che trovò nel Parnaso l’occasione perfetta. Il Regno di Flora potrebbe allora legarsi a questo dipinto come omaggio di Poussin al suo defunto benefattore. .
Il dipinto potrebbe, inoltre, ricollegarsi alla passione verso i giardini, e soprattutto ai fiori, che si sviluppò nel XVII secolo a Roma, e legarsi così ad un altro testo, dedicato alla botanica. A partire dall'inizio degli anni 1620, più ancora dopo la pubblicazione nel 1625 del trattato superbamente illustrato dedicato ai giardini Farnese, Excatissima descriptio rariorum quarundam plantarum, quae continentur Romae in horto Farnesiano, le nobili famiglie romane cominciarono a gareggiare in ricercatezze nei loro rispettivi giardini. Nella misura possibile, importarono nuove varietà provenienti dall'estero e crearono degli ibridi; per loro lavorarono giardinieri che divennero celebri e riuscirono a far crescere delle specie sconosciute fino a quel momento a Roma, sistemando le aiuole in maniera particolarmente attraente, immaginando dei cespugli, delle siepi e delle bordure sempre più straordinari.
Nell'agosto del 1623, Maffeo Barberini sale al soglio pontificio sotto il nome di Urbano VIII. Verso il mese di marzo dell’anno successivo, Poussin arriva a Roma; molto presto egli viene introdotto nella cerchia di Francesco Barberini e di Cassiano dal Pozzo, senza dubbio grazie alla mediazione di Marcello Sacchetti. In questo periodo Francesco Barberini dedica molto del suo tempo alla progettazione dei giardini del nuovo palazzo di famiglia, costruito sul Quirinale, nella stessa posizione dell’antico tempio di Flora.
In un manoscritto del 1627 conservato al Vaticano, Cassiano dal Pozzo evoca il futuro giardino del palazzo, dove raccomanda espressamente di prevedere un “giardino privato fiorito” e grazie a Girolamo Tezi e al suo Aedes Barberinae, possiamo conoscere il nome dell’uomo cui bisogna associare la realizzazione di questo giardino. Dopo aver elogiato le bordure e le aiuole del piano superiore, a fianco dei quali i giardini d’Alcinoo, di Adone e anche delle Esperidi non sono che inezie, Tezi dichiara: “Io vorrei tanto che Ferrari – profondo conoscitore di tutte le specie vegetali e soprattutto di fiori – ci sia, lui che una volta, si è abilmente occupato dei giardini Barberini con il suo sarchiello d’oro per donare l’eternità ai fiori, di solito molto deperibili. Con quella facilità e quella scienza avremmo spiegati il nome, la natura e le proprietà dei fiori.” Egli aggiunge, in termini che sembrano rimandare direttamente al dipinto di Flora: “Con quella dolce eloquenza si è parlato dell’anemone, nato dal sangue di Adone, di Narciso, perduto a causa della sua immagine riflessa nell’acqua, di Giacinto, che la terra, tinta di rosso dal suo sangue, ha trasformato in un fiore porpora nato da un prato verde.”
Il giardiniere esperto di cui si parla non è altro che Giovanni Battista Ferrari (1584-1655), professore d’ebraico e di retorica al Collegio Romano, che pubblicò nel 1633 il suo primo libro importante, De florum cultura. Ritorneremo su quest’opera fondamentale proprio per la questione del dipinto di Flora. Prima, un altro scritto, anteriore, di Ferrari, merita la nostra attenzione: l’Aetas Florea, sive de toto anno cultis floribus vernante. Con un titolo simile, che evoca l’età di Flora e accorda la supremazia dei fiori coltivati, il suo contenuto potrebbe legarsi proprio con il dipinto di Poussin legato a questo tema.
L’autore comincia evocando i fiori del giardino, che incoronano di una primavera eterna il susseguirsi dei cambiamenti annuali: questa è la principale metafora dell’introduzione. Viene in mente, allora, che Valguarnera indicò il suo dipinto sotto il titolo di Primavera, nonostante i fiori rappresentati non crescano in questa stagione. Ferrari prosegue: “Fu una felice invenzione questa sensibilità verso i fiori, poiché un’epoca degenerata dai suoi costumi brutali è potuta rifiorire grazie alla cultura dei fiori […] Dunque, un linguaggio più ardito, nato in questo reame di fiori di cui fa giusto ornamento.”
Sarebbe eccessivo sperare di trovare nel discorso di Ferrari il programma iconografico del dipinto di Poussin. Quello che è stato trovato, in compenso, è un sistema di riferimenti letterari e botanici che si accordano piuttosto bene con l’opera del pittore, soprattutto se la rapportiamo al De florum cultura dello stesso Ferrari, pubblicato appena qualche anno dopo e redatto nel periodo in cui Poussin eseguì il suo quadro.
Durante tutta la prima parte del discorso, l’autore insiste sullo splendore colorato di una Roma ormai dedita ai giardini “Dipingete dei vostri colori primaverili la nuova felicità di un’eterna primavera” scrisse. Nel reame di Flora, l’anno che sta invecchiando conosce una nuova giovinezza. La bellezza precoce di Giacinto sostituisce l’inverno con la primavera. Narciso, fedele compagno delle gelate invernali, si riscalda sotto l’effetto ingannevole della sua temibile bellezza: eccolo che subito impallidì e si trasformò in fiore. Segue un’ode ai venti che infusero la vita all'anemone spuntato dalla terribile ferita di Adone.
Se c’è un testo che aderisce ai tre titoli che il dipinto di Dresda ha ricevuto, è proprio questo. Da un’estremità all'altra, è la questione della primavera, del modo in cui sostituisce l’inverno invecchiato, per finire col fondersi con il calore dell’estate.
Dopo aver evocato diverse piante più esotiche, come il jasmine indiano, la passiflora messicana e il croco d’autunno, Ferrari descrive gli altri grandi giardini di Roma, tra cui quelli Farnese, dei Medici, dei Borghese, degli Scipioni, dei Ludovisi, dei Cesi, dei Caetani, dei Peretti e dei Mattei. Per finire, egli svela le grazie del suo piccolo giardino personale, che ha decorato l’ Aetas Florea di qualche pianta meno conosciuta, come l’Hibiscus rosa sinensis, che egli è stato il primo a coltivare a Roma, annuncia fieramente. Questo spiega, molto semplicemente, come un professore d’ebraico è potuto divenire consigliere botanico e principale giardiniere dei Barberini. Essi dovettero assumerlo poco tempo dopo la redazione di questo trattato, oppure quando vennero a conoscenza che egli coltivava delle piante esotiche nel suo piccolo giardino in un momento in cui ciascuno si sforzava di avere le varietà più rare. Ferrari, dunque, ci fornisce un’indicazione supplementare di un fenomeno della società in cui si può inserire il dipinto di Poussin.
Il De Florum cultura uscì nel 1633. Questo è, come egli si rendeva ben conto, il primo libro illustrato che sia stato dedicato interamente alla coltivazione delle piante ornamentali. Gli utilizzi terapeutici dei fiori non sono evocati che accessoriamente e in maniera occasionale. L’autore assegna un’estrema attenzione ai nomi delle specie e varietà, mentre delle incisioni riproducono meticolosamente l’aspetto dei fiori con un rigore e un’esattezza senza uguali fino a quel momento nelle opere italiane. Le tavole botaniche incise da Cornelis Bloemaert non sono l’unico particolare importante di questa pubblicazione, composta anche da numerose incisioni che mostrano degli attrezzi da giardinaggio, la confezione e il trasporto dei fiori, la disposizione delle aiuole e, soprattutto, una serie di scene allegoriche su temi floreali o botanici, realizzate da Pietro da Cortona, Giovanni Lanfranco, Andrea Sacchi e Guido Reni. C’è qui un’unione esemplare dell’utilis con il dulcis, in questa maniera di associare delle tavole botaniche, eccezionali per la loro qualità e per l’attenzione al dettaglio, a delle allegorie disegnate dai giovani artisti del panorama romano più in vista, che illustrano dei testi composti dal giardiniere gesuita stesso. L’aspetto più notevole dei racconti di Ferrari, potrebbe essere che invece di ispirarsi alle Metamorfosi, ai Fasti o a qualsiasi altra fonte prevedibile, egli li ha inventati. Non esiste niente di comparabile al De florum cultura nella storia dell’illustrazione botanica, eccetto la pubblicazione successiva di Ferrari, ancora più splendida, Hesperides, sive de malorum aureorum cultu, uscito nel 1646.
Nel libro II, dove Ferrari si interessa prima di tutto dei problemi di nomenclatura, egli fornisce ai suoi lettori un’esposizione completa delle metamorfosi di quasi tutti i fiori rappresentati nel dipinto di Poussin. Si hanno dunque tutte le ragioni di stabilire un legame tra il De florum cultura e il quadro raffigurante le metamorfosi dei fiori sotto l’egida della dea Flora. Ferrari è in relazione con Cassiano dal Pozzo dalla metà degli anni Venti e lui e Poussin dovevano conoscersi, almeno di nome, e nel 1646, Poussin realizzò una scena allegorica per le Hesperides. Quattro anni dopo, quando Ferrari dovette rifugiarsi a Siena, egli servì da intermediario tra un senese chiamato Pandolfo Savini e Poussin, al quale questo gentiluomo desiderava commissionare un dipinto.
Esiste una prova ancora più tangibile dei legami tra Poussin e il De florum cultura, che è contenuta nell'opera stessa, che mette in chiaro, inoltre, un ambito fondamentale delle ricerche su Poussin, vale a dire i suoi rapporti con Pietro da Cortona.
Spesso è stato suggerito che il Trionfo di Flora del Louvre dipinto da Poussin faceva da pendant al Trionfo di Bacco dipinto da Pietro da Cortona per Marcello e Giulio Sacchetti. Tuttavia, nessuno ha ancora rilevato il legame, più importante, tra il dipinto di Dresda e un’altra composizione eseguita da Cortona circa un anno dopo. Esistono infatti delle somiglianze notevoli tra l’affascinante Flora del quadro di Dresda e una delle cinque illustrazioni di Cortona per il De florum cultura. Il sesto capitolo del libro IV, intitolato “Art maius naturae miraculum”, o tradotto “Miracolo della natura maggior di quelli dell’arte”, è ornato da una scena allegorica ambientata nel giardino di Palazzo Barberini. In presenza di Flora, della Natura e dell’Arte, Vertumno danza gioiosamente sulla musica del suo sistro, circondato da putti che rappresentano l’Alba, il Giorno, e il Crepuscolo. I suoi gesti sono praticamente identici alla Flora di Dresda, così come i quattro deliziosi putti che danzano intorno a Flora ricordano i personaggi un po’ più grandi che agitano fiori intorno a Vertumno.
Non si tratta di una combinazione se Poussin, preparando la sua rappresentazione di Flora, abbia scelto questa illustrazione dell’opera di Ferrari per delle ragioni di iconografia e di attualità. Vertumno non è che il primo dei servitori della Natura nei racconti di Ferrari. Questo è anche il più mutevole dei semidei, l’artefice d’ogni mutazione, per riprendere la formula di Ludovico Aureli, il traduttore di Ferrari. Vertumno, più di tutti gli altri, incarna la facoltà di metamorfosi che è glorificata in maniera differente nel dipinto di Poussin. A prima vista, il soggetto del capitolo (la superiorità della natura sull'arte rappresentata dalla trasformazione dei fiori), sembra singolarmente in linea con i temi trattati da Poussin nel suo dipinto. Il capitolo comincia con questo invito: “Leggiamo ora le passioni mortali dei fiori, una favola floreale, nata nel mezzo di questi fiori artificialmente colorati al fine di abbellire la verità”.
Per saperne di più:
- Nicolas Poussin 1594-1665, catalogo della mostra tenuta a Parigi, (settembre 1994-gennaio 1995), Parigi, 1994.
- - Freedberg David, L’Aetas Florea. Poussin, Ferrari, Cortone in Nicolas Poussin (1594-1665): actes du colloque organise au musée du Louvre par le Service Culterel du 19 au 21 octobre 1994, sous la direction scientifique d’Alain Merot, Parigi, 1994.
- - Marini Maurizio, Poussin, Art Dossier, Firenze, 1991.
- - Simon Robert B., Poussin, Marino and the interpretation of mithology in The Art Bulletin, vol. 60, 1978.
- - Spear Richard, The literary source of Poussin’s “Realm of Flora”in Burlington Magazine n. 107, 1965.
- - Thuillier Jacques, L’opera completa di Poussin, Milano, 1974.
- -Troy Thomas, “Un fior vano e fragile”: The Simbolism of Poussin’s Realm of Flora in The Art Bulletin, vol. 68, 1986.
- - Winner Matthias, Flora, Mater Florum in Poussin et Rome, actes du colloque à l’Académie de France à Rome et à la Bibliotheca Hertziana, 16-18 novembre 1994, sous la direction d’Olivier Bonfait, Parigi, 1996.

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